Enneagramma dei Caratteri
Le origini
Sembra che l’Enneagramma come sistema di conoscenza potrebbe aver avuto origine nella civiltà babilonese, dove si sono trovati reperti con l’immagine della stella a nove punte: quello che si sa a proposito è stato tramandato oralmente dalla tradizione Sufi1 fino agli anni 60’, quando Claudio Naranjo l’ha messo per scritto. Il Sufismo è una conoscenza che non ha a che vedere con il pensiero razionale, trattandosi di insegnamenti esperienziali tramandati per via orale. La tradizione Sufi è precedente all’era greco-romana, ed è presumibilmente collegata allo sciamanesimo dell’area mesopotamica: sono in ogni caso solo supposizioni, in quanto di questo movimento non ci sono rimaste tracce scritte, essendo il sufismo una conoscenza che procede per via rigorosamente esperienziale. Il mondo sciamanico è l’opposto di un pensiero idealista: non procede per astrazioni e credenze ma tutto è dentro l’esperienza e non c’è separazione fra scienza, arte, politica, che corrisponderebbero ai “luoghi” trascendenti del pensare, sentire e fare, tre aree fuse insieme.
È interessante notare come la conoscenza dell’Enneagramma, presumibilmente appunto di origine precristiana, dal Sufismo sia passata nel mondo cristiano senza che questo la registrasse per quello che è. I sette peccati capitali corrispondono infatti ai nove caratteri meno due, che sono stati probabilmente espunti per varie ragioni, di cui alcune intuibili: oltre al fatto che orgoglio e vanità sono abbastanza simili da poter essere confusi, la Chiesa cristiana non ha mai giocato al risparmio sulla vanità, come si vede bene dagli orpelli delle cattedrali, e considerarla un peccato capitale non sarebbe stato proprio congruo; l’altro vizio che è stata messo da parte è la paura, e anche questo è facilmente comprensibile: dopo tanti ammonimenti a temere Dio, la paura difficilmente potrebbe essere considerata un peccato. L’Enneagramma, insomma, sembra essere un punto di vista altro, che non è riuscito a integrarsi come forma di conoscenza perché la discriminante del pensiero cristiano è la colpa, e i caratteri nell’apparato ideologico cristiano sono diventati peccati. In un certo senso si tratta di un ragionamento sensato, dato che in una logica aristotelica sono errori e quindi peccati, ma questo solo se li si prende sul serio. In realtà bisogna rassegnarsi al fatto che sbagliare è inevitabile, comunque si faccia, ma bisogna sbagliare con attenzione, con coscienza, con responsabilità, un punto di vista inaccettabile per un’ottica aristotelica e fideistica quale è il cristianesimo, dove giusto e sbagliato non possono abitare nello stesso posto.
Gli automatismi
Uno degli assi centrali dell’educazione umana è la costruzione di automatismi: per esempio si educa il bambino a lavarsi le mani e questo diventa un automatismo, cioè diventa spontaneo. E’ importante rendersene conto, perché in genere si crede che la spontaneità abbia a che fare con l’essere della persona, mentre non è altro che qualcosa come saper guidare bene la macchina, cioè un insieme di automatismi. Quando una persona impara a guidare, all’inizio deve pensare come si fa, ma poi non ci pensa più: sarebbe uno stress pazzesco guidare pensando, e chi sa guidare fa automaticamente, cioè spontaneamente, le operazioni necessarie. Gli automatismi non si identificano però con la qualità: un buon pianista è aiutato dai suoi automatismi a non pensare alla gestione della tastiera, ma la qualità dell’esecuzione dipende dal suo livello di creatività e dalla sua capacità di differenziare i suoni e dall’avere un gusto che lo guida, non dal livello tecnico che possiede. Gli automatismi si stabiliscono più facilmente nell’infanzia, e averli o non averli è la differenza fra un pilota automatico e un pilota manuale, il che vuol dire in realtà fra la spontaneità e la goffaggine; qualcosa per esempio che ha molto bisogno di automatismi è imparare una lingua straniera, che pochi da grandi riescono a padroneggiare correttamente proprio per la difficoltà di assumere automatismi che da piccoli si sarebbero appresi ben più rapidamente. Anche qui comunque, fra saper parlare una lingua ed essere uno scrittore, la distanza è abissale.
L’ENNEAGRAMMA propone di tentare di separare il lato meccanico della personalità dal lato non meccanico, cioè di accorgersi di quando, dove e come siamo meccanici, e una volta fatto il sacrificio narcisistico di disidentificarsi dal carattere, cioè dalla propria spontaneità, utilizzare la propria consapevolezza per poter essere più liberi di conoscere alternative e di scegliere una strada personale nei cammini della vita.
Differenze tra emozione e passione
Le emozioni, cioè gli istinti (le emozioni si possono considerare il vissuto soggettivo del manifestarsi degli istinti sul piano fisiologico), sono meccanismi automatici messi a punto attraverso immensi lassi di tempo dall’evoluzione, e sono serviti durante intere ere geologiche a innumerevoli esseri viventi per incontrare meno difficoltà nella sopravvivenza.
Le emozioni sono lì per aiutare, non per complicare la vita.
Sono le emozioni, infatti, che permettono l’autoregolazione organismica: quando si sente troppo male vuol dire che bisogna reagire alla situazione, quando si sente troppa paura vuol dire che è l’ora di scappare. I guai cominciano invece quando le passioni impediscono il normale svolgersi di questa autoregolazione fra spinte diverse: una relazione amorosa rende la vita impossibile? La si potrebbe interrompere, se la passione per l’amore non lo impedisse! In qualche occasione siamo sconfitti? Ci si potrebbe ritirare in buon ordine, se un orgoglio monumentale non insistesse contro ogni buon senso a tenerci lì! Insomma in realtà la passione non va nella stessa direzione delle necessità dell’organismo, e solo il più cieco romanticismo può illudere che sia qualcosa di desiderabile piuttosto che un vero e proprio ostacolo per la vita.
fonti bibliografiche:
G.P. Quattrini, “Per una psicologia del carattere”